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Momenti della preparazione del luccio.

 






 

 

 

 

 


Il luccio in salsa

Il luccio, considerato il re dei predatori d'acqua dolce, rappresenta da sempre un bottino molto ambito dai pescatori. Presenta un corpo allungato e poco compresso ai lati, con la pinna dorsale molto arretrata, vicino alla caudale. Molto caratteristica è la forma del muso "a becco d'anatra", prominente e appiattito, la bocca assai ampia è fornita di moltissimi denti robusti ed acuminati. La colorazione può essere variabile: generalmente presenta dorso scuro, fianchi marmorizzati di macchie bianco-argentee con tinta di fondo verde, ventre bianco giallastro; le pinne sono invece di colore giallo rossastro con machie nere. Vive soprattutto nelle acque calme e limpide, dove il profilo della costa meno ripido consente un rigoglioso sviluppo della vegetazione acquatica e palustre. Predilige le acque planiziali ferme o a lento decorso di fiumi, proprio come si presentano le acque del Mincio nei pressi di Pozzolo, oltre che stagni e laghi. Il suo habitat naturale prevede fondali sabbiosi o fangosi ricchi di vegetazione, nella quale si mimetizza durante le sue battute di caccia. Si ciba quasi esclusivamente di pesci ed è considerato predatore assai vorace ed insaziabile. Tale fama è tuttavia esagerata: il luccio infatti contribuisce all'equilibrio delle popolazioni di ciprinidi, di cui si nutre, eliminando gli individui più deboli o malati. Purtroppo è sempre meno diffuso poichè oggetto spesso di pesca indiscriminata, penalizzato dal degrado del suo habitat naturale e in forte contrasto con nuovi predatori alloctoni (quali il siluro e il black bass) in diretta concorrenza nella catena alimentare.
Il luccio da sempre rappresenta un piatto prelibato presente nei menù dei ristoranti mantovani, proprio perchè il pesce di fiume e di lago nella nostra provincia è sempre stato un alimento considerevolmente disponibile e a costi molto moderati. Al contrario della carne, pertanto, il pesce d'acqua dolce poteva essere consumato quasi quotidianamente e spesso la sua trasformazione in cibo non ha comportato grandi elaborazioni.
Già al tempo dei Gonzaga, ma fino a giorni più recenti, non esistendo metodi di surgelazione, carni e pesci di mare esigevano molte cure, profonde metamorfosi: le salse, le spezie, il gusto deciso di alcuni frutti, sovrastavano  (e spesso annullavano) il sapore dell'elemento primo, probabilmente non più freschissimo. Il pesce d'acqua dolce invece, grazie alla sua abbondanza, alla sua disponibilità, ha potuto essere cucinato rispettandone il sapore dolce e pulito.
Le origini del luccio in salsa sono sicuramente molto antiche, se ne ha già notizia nel trattato dello Stefani: "Deve il luccio essere di fiume, overo di lago buono e non paludoso; fra tutti i pesci, questo dà buon nutrimento.... serviti con olio, succo di limoni e verdure; nello spiedo lardati con angiove, serviti con salsa di capperini, code di gamberi, zuccaro e aceto rosato..." (Brunetti, 1965:46).
Il luccio in salsa è il "secondo" piatto che maggiormente caratterizza la tradizione gastronomica mantovana: per questo nella gran parte dei ristoranti è disponibile tutto l'anno, servito caldo o freddo, a seconda delle stagioni, ma generalmente accompagnato da fettine di polenta abbrustolita; accostamento insolito per il pesce d'acqua dolce, ma al quale i mantovani difficilmente sanno rinunciare, anche per antica necessità.
Nella preparazione il luccio viene fatto bollire in acqua e poi viene spolpato, sminuzzato e lasciato a marinare nella salsa per almeno dodici ore, meglio un giorno intero. I grandi cheff della cucina mantovana dicono che per preparare un eccellente luccio in salsa, si deve condire il pesce con una salsa verde preparata con olio ed un battuto fine di prezzemolo, aglio, capperi, acciughe e tanta cipolla. La salsa deve essere fatta cuocere con unpo' d'aceto a fiamma moderata per 15 minuti e va poi versata a caldo sul pesce... Quasi tutto vero, ma manca ancora qualcosa per avere la ciliegina sulla torta e gustare il luccio in salsa impareggiabile della Sagra di Pozzolo.... Un qualcosa che naturalmente le cuoche del nostro staff si guarderanno bene dallo svelare...
Non rimane che venire a Pozzolo per assagiarlo!!

Il risotto alla mantovana (risot col pistum)

Caratteristica peculiare di questo piatto è il tipico riso coltivato nel mantovano, il Vialone Nano. Nelle terre dei Gozaga il riso si coltiva già nel Cinquecento, ma soltanto alla fine dell'Ottocento si codificano le prime varietà: si chiamano Nostrale, Ostiglia, Novarese, Leoncino. Nel 1901 i fratelli De Vecchi di Vialone (PV) selezionano il Vialone Nero. Questa varietà ottima e dal chicco molto grande si diffonde nel veronese, nel rovigotto e quindi nel mantovano. La seconda tappa importante è il 1925, quando la Stazione sperimentale per la cerealicoltura di Vercelli incrocia il Vialone Nero con il Nano. Il nuovo riso mantiene le caratteristiche organoletiche del Vialone, ma è più piccolo. E proprio il Valone Nano diventa, poco per volta, tipico del Mantovano. Con il passare degli anni si riducono le risaie, spariscono le mondine, ma non varia di molto la tecnica di lavorazione: si trebbia, si fa essiccare il risone, si pila (per eliminare la lolla) e si sbianca. Il Vialone Nano è da tutti considerato il capostipite dei risi da risotto più pregiati della produzione italiana, molto versatile e adatto ad una grande varietà di preparazioni. La preparazione tipica della Sagra di Pozzolo è quella con il pistum, ovvero l'impasto di carni suine (magro di spalla, grasso morbido di rifilatura di pancetta e prosciutto) macinate, salate, condite con aglio e pepe, utilizzato per la preparazione delle salamelle.
Il pistum viene sminuzzato e fatto rosolare in un tegame irrorandolo abbondantemente con vino bianco e a fine cottura mantecato con una  noce di burro. Il riso va versato a pioggia nel brodo portato a bollore su fiamma vivace e, trascorso il tempo necessario alla cottura, deve essere fatto riposare a caldo nella pentola coperta da una canovaccio da cucina (la durata di queste due operazioni è il segreto per un ottimo risultato). A questo punto il pistum va unito al riso, che dovrà risultare asciutto, al dente e con i chicchi ben staccati tra loro, e mescolato con cura insieme ad un'abbondante spolverata di parmigiano grattugiato.

Tortelli di zucca

L'origine dei tortelli di zucca si inserisce nell'antica e popolare tradizione culinaria di paste ripiene dell'italia settentrionale; tradizione che risale almeno al basso medioevo, mentre la zucca (come ingrediente) risale a dopo il 1500, all'affermarsi della coltivazione dei nuovi ortaggi provenienti dall?America Centrale. Lo scopo di tali preparazioni era di ottenere un piatto gustoso e nutriente, con quel poco che l'economia contadina forniva.
A buon titolo inserito tra i prodotti agroalimentari tradizionali italiani, è il piatto simbolo della cucina mantovana, in cui rappresenta il primo piatto della sera della vigilia di Natale. Il particolare gusto di questo piatto, in cui si uniscono il dolce della zucca con il salato del formaggio grana, il dolce-amaro degli amaretti ed il piccante della mostarda mantovana, lo rende unico ed inconfondibile.
La ricetta tradizionale li vuole conditi con burro fuso (aromatizzato dalla salvia) e formaggio parmigiano grattugiato. Un'ottima alternativa, diffusa in alcune zone della provincia, è quella di servirli rossi, con un ragù a base di pomodoro e salamella.
La preparazione prevede la cottura della zucca al forno che, una volta ripulita da semi e bucia, andrà aggiunta agli amaretti finemente sbriciolati, alla mostarda mantovana, un pizzico di noce moscata e al parmigiano grattugiato, in modo da ottenere un impasto ben consistente. Dopo essere stato lavorato, l'impasto va lasciato riposare in luogo fresco per clmeno dodici ore, in modo che tutti i sapori possano amalgamarsi. Con il ripieno si fanno poi delle palline da distribuire su quadrati di sfoglia che, per racchiudere il pesto, si piegheranno in due, ottenendo dei rettangoli con un lato doppio dell'altro. I tortelli, cotti in acqua salata, andranno poi distribuiti a strati successivi in una zuppiera, condendo ogni strato con abbondante burro alla salvia e parmigiano grattugiato.

Torta sbrisolona

La torta sbrisolona è la regina delle torte secche, un autentico gioiello della cucina regionale italiana. Questa torta è la testimonianza autentica di come la cultura contadina abbia influenzato la nostra società; la ricetta tradizionale prevede infatti una parte di farina gialla di mais da impiegare con la normale farina, questo perchè anticamente la farina di mais era la farina tipica del mondo contadino: economica, altamente nutritiva, molto versatile.
Dalle tavole di campagna la sbrisolona passa poi a deschi più nobili, fino ad approdare alle tavole imbandite dei Gonzaga, che si dice avessero un debole per questo dolce. Così chiamata per la sua consistenza fragile e molto frammentaria la sbrisolona diviene ben presto il simbolo dolciario del mantovano.
L'impasto della sbrisolona, a differenza di altri dolci, si lavora in modo totalmente diverso, in quanto al posto di essere amalgamato e reso liscio ed omogeneo, si deve lavorare per mescolare gli ingredienti senza compattarli tra loro, facendogli assumere una consistenza granulosa e discontinua: anche la "messa in forma" nella tortiera segue un rituale particolare, infatti l'impasto non viene steso, ma sbriciolato direttamente con i polpastrelli e fatto cadere nella tortiera senza compattarlo. Il risultato è una torta secca e friabile, da mangiare fredda, meglio se lasciata riposare molte ore dopo la cottura; non si taglia a fette, ma si spacca, si rompe, si sbriciola...
Un buon vino da abbinare alla sbrisolona, deve rimanere a Mantova, per ritrovare quella magica armonia virgiliana di sapori che in questa zona impera e dilaga: niente di meglio che un grande spumante mantovano come il Pinot Brut reperibile in diverse qualità nelle molte cantine vinicole della zona.
Non è da disdegnare poi l'usanza di molte zone del mantovano, di ammorbidire leggermente la sbrisolona con un'innaffiatina di grappa.

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